
Così il Muratori: “per comando, o per missione di Dio, vengono le calamità, ma specialmente si conosce, che vengono quelle più strepitose, che affliggono i popoli interi, o per castigo de’ peccati, o per ispurgo de’ malviventi, o affinché la gente si svegli e conosca, che c’è Dio; onde da Tertulliano la peste: “tonsura lascivientibus ac silvescentis generis umani”.E’ alquanto significativo che Pietro Michele Gagna da Cherasco, trattando della peste in Piemonte, indicasse il morbo come: “flagellum Dei”, “bellum Dei cui umane virus nequeunt resistere”, “Divinis morbus”.Nella trattatistica del XVI-XVII secolo, quali che fossero le motivazioni individuate alla base del contagio, prevale il ricorso a un’ analisi impregnata di simbolismo astrologico di tradizione antica.
Agostino Bucci, medico e lettore all’Università di Torino nel XVI secolo, descrivendo la peste del 1548, chiariva che molti segni preannunciano la pestilenza: meteore e comete, eclissi del sole e della luna, uragani e tempeste. (…) La peste del 1548 ad esempio, si racconta venne determinata da una congiunzione di Saturno, Giove e Marte nella fine del segno dello scorpione. Poi vi fu l’eclisse del sole entro l’ottava casa (che indica la morte); al quale eclisse intervennero Marte, Venere, Mercurio e la Luna, tutti dentro l’ottava casa, nella quale parimenti riguardavano Saturno e Giove. Il Bucci però non si dimenticava di osservare il fenomeno anche con uno sguardo che potremmo definire “socio-sanitario”: “dopo una grande penuria, che costringe i poveri a usar cibi tristi, come frutti, et erbe, et a bere acqua, o vini deboli e tristi s’empiono di cattivi humori, i quali soprauendo poi il caldo della state si putrefanno di velenosa putredine, alla quale segue il contagio”.
Nella seconda metà del XVI secolo, si fece sempre più spazio l’ipotesi che i cosiddetti “seminari della peste” si annidassero nelle “vesti, lane, panni, camise”… Da Filippo Maria Roffredo, che fu cronista della peste in Piemonte tra XVI e XVII secolo, apprendiamo che i “seminari” erano costituiti di sostanza vivente; così come attestava Bartolomeo Corte per il quale, la peste “derivava da corpi animati che muovevano l’aria”.
(….) I medici del tempo, basandosi sulle conoscenze di Ippocrate e Galeno, pensavano di guarire la peste eliminando l’humus negativo: così spesso incidevano il corpo dell’ammalato per far defluire il sangue infetto, ma in realtà contribuirono a diffondere il contagio.
(…) Tentando un’archeologia dei germi, gli storici ritengono che i primi focolai di Yersinia Pestis, passati dal topo all’uomo, attraverso la pulce, debbano essere individuati in Himalaya e in Africa Centrale. Ma siamo a un puro livello di ipotesi poiché la documentazione sul tema è molto limitata; inoltre, specialmente prima del XIV secolo, “ogni memoria biologica” (e quindi di difesa immunitaria) di quel lontano e catastrofico incontro era ormai scomparsa. L’uomo si dimostrava quindi vulnerabile per la prima volta”. E’ Probabile che l’Yersinia Pestis abbia iniziato il suo cammino verso il centro Europa lungo le vie carovaniere dell’impero mongolo. Con l’accelerazione dei mezzi di trasporto e il miglioramento delle vie di transito, che prevedevano il cambio degli animali – nel caso dei viaggi via terra – la peste riuscì a non estinguersi, perché aveva un nuovo e più fertile territorio in cui diffondersi. Attraverso le vie commerciali giunse, nel 1346, in Crimea. Dalle coste mediterranee, questa volta con l’ausilio delle navi, raggiunse altri paesi europei. (…)
Sulla rapidità con cui la morte travolgeva gli appestati abbiamo una testimonianza di Giovanni Francesco Fiochetto, che nel Trattato della Peste, o sia contagio di Torino nell’anno 1630, (Torino, 1631) descrive due episodi molto indicativi:
“passando nella via dietro S. Domenico vidi una donna vestita di seta nera, con velo bianco in capo sormontato da altro velo a guisa di monaca la quale portava sotto al braccio sinistro un viluppo di panni bianchi e camminava appoggiata a un bastone liscio: domandò essa per grazia ad una casa una sedia per riposarsi e sedendo rese l’anima a Dio senza lamento nè sospiro, il che fece credere a me stesso e ai miei vicini che si riposasse tenendosi il corpo e capo rigido con gli occhi aperti nel modo che si pose, sin che due giorni dopo camminando io per l’istessa strada, ritrovatala nella medesima postura, immobile e senza segno di respirazione, mandai tosto per i beccamorti ad essa.
Un’altra donna appoggiatasi al muro della casa degli eredi di Steo Torillo, chiamò da bere e le fu sporto un pignattino di terra con vino, il quale bevuto finì ella di vivere, tenendo sempre per più giorni il pignattino alla bocca nell’atto stesso di bere”. Pier Francesco Arellani, di Agliano, nel suo Trattato sulla Peste, pubblicato ad Asti nel 1599, soffermandosi sui “seminari”, oltre a citare motivazioni come l’influsso astrale e il castigo divino, sosteneva che la peste (quella del 1598) fosse giunta in Savoia a causa di “corpi non seppelliti” o fetori e sporcizie lasciati da eserciti o dalla fame del popolo”….
Il Roffredo (1600) … concluse che le cause dell’epidemia abbattutasi sul Piemonte “erano le costellazioni, i raggi delle stelle, i mutamenti dell’aere, la cattiva nutrizione, le esalazioni dei cadaveri e degli stagni e paludi infette”. Così il Roffredo sintetizzava le cause della peste: “fames, fatiga, fructus, foemina, flatus..”
Da: La Peste in Piemonte – Influssi astrali – untori demoni streghe – di Massimo Centini – Friuli & Verlucca Editori