Seconda parte

In fretta si avviò con venti servi,
tutti nel primo fiore, tutti grandi
come giganti e buoni a devastare
un’intera città, con i due attrezzi,
le asce e le scuri e corsero impudenti
al bosco di Demetra. C’era un pioppo,
albero grande, che toccava il cielo,
presso il quale venivano a scherzare
le ninfe a mezzogiorno. Il primo colpo
cadde su questo e un grido doloroso
mandava agli altri. Percepì Demetra
la sofferenza della pianta sacra
e disse piena d’ira: Chi mi taglia
gli alberi belli? Sùbito divenne
identica a Nicippe, nominata
sacerdotessa pubblica al suo culto
dalla città. Le bende prese in mano
e il papavero e aveva dalla spalla
una chiave pendente. Per calmare
quel malvagio impudente gli parlava:
Figlio, chiunque tu sia che tagli gli alberi
consacrati agli dèi, fèrmati, figlio,
figlio molto diletto ai genitori,
fèrmati ed allontana i servi tuoi,
se non vuoi che ti mostri la sua ira
la dea Demetra, di cui ciò che è sacro
stai devastando. Le lanciò uno sguardo
più feroce di come una leonessa,
fresca di parto, guarda un cacciatore
sui monti Tmari, l’occhio più terribile
che esista, a quanto dicono, e rispose:
Sta’ indietro e bada che la mia gran scure
io non ti pianti in corpo. Con questi alberi
una solida casa voglio farmi,
dentro la quale sempre ai miei compagni
darò lieti banchetti in abbondanza.
Disse il ragazzo e Némesi si scrisse
la cattiva risposta. Ma Demetra,
in maniera indicibile adirata,
ridiventò la dea. Coi passi il suolo,
con la testa l’Olimpo raggiungeva.
Ed essi, quando videro la dea,
balzarono di colpo mezzi morti,
la scure abbandonando nelle querce.
Non si curò degli altri, che per forza
ubbidivano al cenno d’un padrone,
e al protervo signore si rivolse:
Sì, sì, fatti la casa, cane, cane,
in cui darai i banchetti. Nel futuro
avrai banchetti senza interruzione.
Queste parole disse, suscitando
le pene di Erisíttone. All’istante
una fame terribile e selvaggia
gli mise addosso, ardente e vigorosa.
Ed egli, in preda a grave malattia,
cominciò a consumarsi. Sventurato,
più mangiava, più fame aveva ancora.
Preparavano in venti da mangiare
e il vino era da dodici versato.
Dioniso si unì all’ira di Demetra:
ciò che Dioniso anche Demetra offende.
Fine seconda parte
