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IL PRINCIPIO DELL’ARTE è il CORVO


La psicologia del nero

James Hillman

Nero e bianco. Questi due non colori per l’occhio Newtoniano della scienza, sono, per l’occhio della cultura, i primi di tutti i colori – i veri colori primari. Due etnologi dell’Università della California hanno pubblicato una ricerca sui nomi dei colori in qualcosa come novantotto lingue. (1)Partendo da questa base pronunciano una più estesa, universale rivendicazione. Riportano che tutte le lingue possiedono nomi per nero e bianco, oscurità e luce, oscuro e luminoso. Dichiarano inoltre che se una lingua possiede un terzo nome per un colore, è universalmente il rosso, e se esiste un quarto ed un quinto, allora sono universalmente il giallo o il verde, seguiti dal blu, il sesto, il marrone, il settimo, e così via, una scala che funziona quasi senza eccezioni in tutte le diverse lingue.Per quello che ci riguarda la scoperta principale ed anche quella meno contestata è il primato della coppia nero-bianco. Tutte le culture, pare, operano questa distinzione, suggerendo così l’importanza dei ritmi diurni, e cosa rilevante per la psicologia, aggiungono che il contrasto è essenziale vitale per la coscienza.Fra la gente della zona sub-sahariana dell’Africa, i tre colori primari – nero-bianco-rosso (e qui sto traducendo in maniera più metaforica espressioni concrete nella nostra terminologia astratta.

Troviamo un’idea simile nelle tre Guna della cosmologia Indiana: le nere tamas,  le rosse rajas, e le bianche sattva partecipano della composizione di tutte le cose. Il giustamente autorevole antropologo Victor Turner dichiara che questi tre colori “forniscono una classificazione primordiale della realtà”. Non sono semplicemente delle qualità percettive, ma “esperienze comuni a tutta l’umanità”, sono come “forze” archetipe, “biologicamente, psicologicamente e logicamente antecedenti alle classificazioni sociali, ai clans, ai totem sessuali, e tutto il resto”. Per la cultura, il nero e il bianco ed il rosso, precedono e determinano il modo in cui la vita umana viene vissuta.La rivendicazione di Turner separa ancora di più la cultura del colore dalla scienza del colore. Dal punto di vista culturale i colori non sono mere qualità secondarie, riconducibili a sensazioni fisiche che sottendono ai processi neurologici nel soggetto che percepisce. Da un lato i colori hanno a che vedere con la luce, il riflesso, l’ottica ed i nervi. Dall’altro hanno qualcosa a che vedere con il mondo stesso. Essi sono il mondo stesso, e questo mondo non è un semplicemente un mondo colorato come per accidente di luce e chimica, o come se fosse stato decorato da un dio pittore. I colori introducono l’attualità fenomenica del mondo, il modo in cui il mondo si presenta e, come agenti operativi nel mondo, i colori ne sono anche i principi formativi primari. Nell’immaginario medievale persino l’arcobaleno prende i suoi colori dal mondo fenomenico (piuttosto che dalla rifrazione della luce): dai cieli deriva il colore infuocato, dall’acqua, il viola, dall’aria, il blu, e dalla terra, il colore dell’erba” (4).L’arcobaleno unisce il visibile e l’invisibile, sia che la terra prenda i suoi colori da una luce invisibile e senza colori lassù in alto o che componga quella luce attraverso le proprie tonalità elementari. La Torah dice che Dio ha stabilito l’arcobaleno come segno visibile che il cosmo è retto da principi invisibili. L’arcobaleno dichiara anche il doppio principio che la manifestazione della bellezza va a braccetto con la discriminazione, lo spettro di toni magnificamente differenziati.Solamente in una visione del mondo ridotta fenomeni puramente fisici, per es. una visione del mondo ridotta alla e dalla fisica,  il nero potrà essere considerato un non-colore, un’assenza di colore, una deprivazione di luce.  Questa definizione privativa del nero ignora il fatto che il nero appare in piena luce in pigmenti naturali ed in altri fenomeni dal carbone e l’ossidiana alle more agli occhi degli animali.Tra l’altro, la definizione negativa e privativa del nero promuove la moralizzazione della coppia nero-bianco. Il nero viene allora definito come non-bianco, e viene privato di tutte le virtù attribuite invece al bianco. Il contrasto diventa opposizione, perfino contraddizione, come se il giorno venisse definito non-notte, ed un arbusto di more una mora non-bianca. La legge della contraddizione portata a sistema morale diede vita alla nostra mentalità occidentale, che prese avvio nel 16esimo e 17esimo secolo, l’Era dei Lumi, dove Dio viene identificato con la bianchezza, il biancore e la purezza, ed il nero, attraverso la privatio boni, diviene ancor di più il colore del male. (…) Molto prima che i primi marinai di lingua inglese toccassero le rive dell’Africa Occidentale, il significato del 15esimo secolo di “nero” includeva: fortemente intinto di sporco, sudiciume, sozzura, maligno, atroce, orribile, malvagio, infausto, nocivo, sinistro…”.

Quando i primi marinai di lingua inglese spiarono gli indigeni dalle rive dell’Africa Occidentale chiamarono questa gente “nera”. Non nuda, non selvaggia, non pagana, ma nera. Una volta nominata, questa gente incominciò a assumere su di sè tutti i significati impliciti in quel termine.Il termine inglese “bianco” per caratterizzare un gruppo etnico fu coniato per la prima volta nel 1604, dopo che gli Africani furono percepiti come “neri”. La moralizzazione e la contrapposizione fra bianco e nero continua fino ai nostri giorni nella lingua Inglese, dove bianco equivale a buono, e nero a cattivo, sporco, nauseabondo, sinistro, malvagio etc..Il Bianco come termine per designare i Cristiani divenne parte stabile del linguaggio Americano a partire dal 1680. Il disprezzo per il nero non è solo contemporaneo, Occidentale ed Inglese. Il colore nero nel mondo Greco e anche nelle lingue Africane recava significati che si ponevano in contrasto con il bianco e il rosso, ed includevano non solo la fertilità della terra ed il mistero del mondo infero, ma anche malattia, sofferenza, fatica, stregoneria e mala sorte.Il nero tuttavia non è più maledetto di qualsiasi altro colore. La terminologia insita nel colore porta con sè significati marcatamente antitetici. Ciascuno viene valutato attraverso un insieme di opposti – il giallo come raggio di sole e decadenza, il verde come speranza ed invidia, il blu con il puritanesimo e la lascivia, etc. La maledizione del nero si palesa solamente quando la terminologia del colore viene applicata agli esseri umani, maledizione della nostra cultura Anglo-Americana e, come ho cercato di spiegare esaurientemente in altra sede, che ha afflitto la cultura della maggioranza attraverso la classificazione del bianco, caricandola così della maledizione archetipica della supremazia bianca.Potrebbe esistere un aspetto archetipico dell’oscurità che possa spiegare il nostro disprezzo, assieme alla la paura, il brivido fisiologico che essa ci suscita? L’occhio umano preferisce la luce all’oscurità? L’essere umano è eliotropico, essenzialmente adattato alla luce? La percezione visiva è il suo senso preferito, come si vede nell’embrione, dove fin dalle prime settimane il sistema ottico rudimentale comincia a svilupparsi prima di altri?Se l’animale umano possiede un’innata predilezione per la luce, allora l’esclusione del nero come colore sostituendolo con il termine “oscurità” potrebbe trovare una giustificazione.  L’esclusione dell’oscurità favorisce l’adattamento al mondo fenomenico e il funzionamento ottimale all’interno di esso attraverso l nostro organo sensorio primario, l’occhio.Allora potremmo conludere in maniera semplicistica che la definizione di nero come un non-colore appartiene all’identità oculare della coscienza umana. L’occhio diventa il pars pro toto della coscienza umana abituale, ed il nero minaccia il nocciolo stesso di questa identità. Questa minaccia costituisce anche la sua virtù.

James Hillman – The Psychology of Black


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