“Nelle reti di Eros: la poesia di Ibico di Reggio”
Nuovamente Eros di sotto alle palpebre languido mi guarda coi suoi occhi di mare: con oscure dolcezze mi spinge nelle reti di cipride inestricabili. Ora io trepido quando si avvicina, come cavallo che uso alle vittorie, a tarda giovinezza, contro voglia fra carri veloci torna a gara. (fr. 287 P.-Dav.)
Purtroppo non sono molti i poeti greci arcaici ricordati a lungo nella Grecia continentale. Ai soli due della lirica arcaica, si aggiungeranno altri personaggi di età più tarde, più o meno dal IV sec. a.C. in poi. La fine del VI e tutto il V sec. a.C. sono dominati dal primato dell’intellettualismo ateniese restituendoci, quindi, una visione di parte più che globale.
Riferendoci all’età arcaica abbiamo già parlato del grande poeta Stesicoro. Spostandoci di pochi decenni più avanti, nella prima metà del VI sec. a.C., nella città di Reggio nasceva il grande poeta Ibico. Di nobili origini, come farebbe capire l’aneddoto per cui egli avrebbe potuto diventare tiranno della stessa Reggio, Ibico preferì la poesia alla politica ed emigrò altrove, precisamente a Samo, alla corte del padre del futuro tiranno Policrate, fra il 564 il 561 a.C. Il nome di Ibico è spesso associato dagli antichi a quello di Stesicoro, tant’è che molti studiosi hanno voluto vedere in questa notizia una sorta di periodo di apprendistato e un rapporto maestro-discepolo fra i due. In realtà, non è così: l’associazione può essere facilmente scaturita dalla comune origine magno-greca e dall’esistenza di punti di contatto nella produzione epico-lirica di entrambi. Ibico, infatti, pare abbia viaggiato in Sicilia componendo carmi in varie occasioni sociali e politiche, ma dopo essersi spostato a Samo i temi della sua poesia cambiarono radicalmente e all’epica egli preferì l’amore e l’erotismo. Bisogna fare attenzione a parlare di un cambio di gusti del poeta in sé: la lirica greca di quest’età non rappresenta una voce interna parlante del poeta che compone (il cosiddetto io lirico), bensì l’espressione delle proprie capacità compositive all’interno di un gruppo sociale e durante un momento ben preciso. Ibico componeva per allietare il convivio di nobili aristocratici, al capo dei quali vi era il tiranno, espressione della visione politica dominante della città su cui regnava che aveva assoldato un poeta per i banchetti. Ibico veniva di fatto pagato per celebrare, quindi, il tiranno e deliziare il simposio accompagnato dalla lira e dalle belle fanciulle che danzavano, suonavano e giacevano con gli uomini della serata.
La scelta della tematica erotica è dettata da motivi tipici del tempo e dal fatto che l’argomento amoroso era svincolato dal tema politico o estemporaneo, altro caposaldo della lirica greca. Si parla a buon diritto di Ibico come di un «poeta di corte». Tuttavia, nella parte finale della sua vita dovette tornare nella sua patria se è vera la notizia per cui Ibico fu ucciso da un gruppo di briganti in Calabria che si volevano accaparrare tutti i beni con cui viaggiava e se ha ragione Franco Mosino che nel 2006 ha proposto di identificare il segnacolo del cenotafio antico di Ibico a Reggio nella bellissima statua del cosiddetto kouros di Reggio. La statua fu trovata nei pressi del lungomare, punto in cui si dice vi fosse la tomba del poeta. Essa fu distrutta dall’invasione siracusana del IV sec. e poi riedificata nel III sec. a.C. Notissima nel mondo greco e nel mondo latino la musa pedofila di Ibico, e pure quella delle città calcidesi, come era Reggio: il verbo chalkidizein voleva significare “fare l’amore omosessuale alla maniera dei Calcidesi”. Dunque, sul cenotafio fu collocato questo fanciullo, strettamente collegato alla produzione di versi erotici omosessuali di Ibico a simboleggiare l’amore pederastico del poeta:
Eurialo, fiore e ansia delle cerule Grazie, dalle belle chiome, te Cipride e Persuasione dagli occhi mansueti allevarono tra rose fiorite. (fr. 7 PMG)
L’amore e la passione per i giovinetti sono fulcro della poetica di Ibico che però si manifesta nella sua vita soltanto negli aspetti negativi: Eros è un fanciullo irrequieto che sconquassa tutti, dal giovane al vecchio, facendo ardere completamente di passione la vittima. Eros è dotato di un magico potere che lega a sé ogni cosa, adescandola nella propria trappola.
Ogni sensazione, ogni scena d’amore, viene descritta da Ibico con un’immagine, una metafora, sempre potente, tanto da far parlare di un linguaggio figurativo: Eros è vento di Borea, è il cacciatore di Afrodite, è il cavallo irrequieto seppur vecchio.
A primavera, quando l’acqua dei fiumi deriva nelle gore e lungo l’orto sacro delle vergini ai meli cidonii apre il fiore, e altro fiore assale i tralci della vite nel buio delle foglie, in me Eros che mai alcun età mi rasserena, come il vento del nord rosso di fulmini, rapido muove: così, torbido spietato arso di demenza, custodisce tenace nella mente tutte le voglie che avevo da ragazzo. (fr. 286 P.-Dav.)
A tutto ciò si accompagnava una metrica del testo rapida e veloce, come se le parole volassero insieme alle dita sulle corde della lira. Follia e inquietudine rendono l’innamorato un vero e proprio invasato, condotto a comportamenti spesso a lui estranei. Nel 1922, le sabbie dell’Egitto ci hanno restituito il più lungo frammento lirico di Ibico. Si tratta di una cinquantina di versi su papiro in cui Ibico afferma di non voler cantare la guerra di Troia, argomento adatto solo alle Muse, e si sofferma sui guerrieri elogiandoli per la loro bellezza concludendo poi dicendo:
«anche tu, Policrate, avrai fama perenne per quanto sta al mio canto e alla mia fama».
La frase è l’apice di tutto il carme, come rivela il segno di un uccello (la cosiddetta coronide) usato nei papiri per indicare la fine di una poesia. Si tratta quindi di un vero e proprio elogio, l’encomio di Policrate appunto. La speranza è che altre di queste magnifiche odi siano celate in papiri ancora da portare alla luce, così da leggere ancora di più di questo immenso e immortale poeta magno-greco.
B. Gentili – C. Catenacci, Polinnia – poesia greca arcaica.
F. Mosino, Il cenotafio di Ibico a Reggio. Recuperata la statua di un ragazzo, segnacolo sopra la sepoltura (VI sec. a.C.), Quad. Urb. cult. class. 83 (2006).
L. E. Rossi – R. Nicolai, Letteratura greca, vol. I.
Purtroppo non sono molti i poeti greci arcaici ricordati a lungo nella Grecia continentale. Ai soli due della lirica arcaica, si aggiungeranno altri personaggi di età più tarde, più o meno dal IV sec. a.C. in poi. La fine del VI e tutto il V sec. a.C. sono dominati dal primato dell’intellettualismo ateniese restituendoci, quindi, una visione di parte più che globale.
Riferendoci all’età arcaica abbiamo già parlato del grande poeta Stesicoro. Spostandoci di pochi decenni più avanti, nella prima metà del VI sec. a.C., nella città di Reggio nasceva il grande poeta Ibico. Di nobili origini, come farebbe capire l’aneddoto per cui egli avrebbe potuto diventare tiranno della stessa Reggio, Ibico preferì la poesia alla politica ed emigrò altrove, precisamente a Samo, alla corte del padre del futuro tiranno Policrate, fra il 564 il 561 a.C.
Il nome di Ibico è spesso associato dagli antichi a…