“Candida scorre la luce” una delle frasi più belle di tutta la letteratura. Forse una frase, un’immagine scagliata dall’etá del bronzo, sapientemente scolpita nell’avorio più candido; parole che sono state fasciate con cura in velli bianchi. Non un rarefatto empireo di divinità stilizzate e assenti anche a loro stesse e nemmeno un attico tra le nuvole dove creature privilegiate e immortali camminano avanti e indietro senza posa oppure dormono in piedi, in posizioni innaturali. Afflitti dagli stessi vizi dell’uomo come lui si tradiscono, si odiano, si innamorano e si ingelosiscono. Gli dei di Omero invece sono dei beati che, trasfigurati dalle loro millenarie delizie di immortali, non possono conoscere bisogni o cupidigia. La luce bianca che abita la loro dimora è quella che si irradia da un’ineffabile estasi composta. Ogni tanto gli dei squarciano le nuvole per guardare con olimpica curiosità gli uomini e le loro traversie. Sempre in quella quiete perfetta e profonda, in quella luce incandescente che al di là di ogni altro colore. Gli uomini invece non possono fare altro che sopportare il proprio destino, sapendo che nulla si può fare contro di esso. Così sarà più dolce la discesa tra le ombre e nella vita Penélope e e Ulisse ancora vivi, ancora carne si stringeranno ancora una volta per poi lasciarsi per sempre. Penelope riversa sul letto immagina Atena occhio azzurro e tutti gli altri dei e sembra che sia scesa finalmente la calma. Bianca scorre la luce.
E detto così, se ne andò, Atena occhio azzurro,
verso l’Olimpo, dov’è, dicon, la sede sempre serena dei numi:
non da venti è squassata, mai dalla pioggia
è bagnata, non cade la neve, ma l’etere sempre
si stende privo di nubi, candida scorre la luce:
là il giorno intero godono i numi beati.
Omero, Odissea
