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I Mamuthones: un culto antichissimo prima di Dioniso


«Felice colui che sui monti, in mezzo alla danza sfrenata del coro, precipita a terra, vestito del vello consacrato, bramoso del sangue del capretto sgozzato, della gioia di divorare la carne cruda, mentre erra per i monti della Frigia, della Lidia – e Bacco avanza per primo e grida ‘Evoè’. Scorre il latte sul terreno, scorre il vino, scorre il nettare delle api: sembra fumo di incenso di Siria quello che avvolge ogni cosa. Bacco regge con le mani la fiamma che come un tizzone sfavilla dalla ferula resinosa, e l’agita e la vibra, e correndo e danzando incita quella turba vagante, e con grida di orgia la fa fremere tutta, nell’aria scuotendo i morbidi capelli ricciuti».

Sia a Delfi (trieterìs) sia in Attica i mesi autunnali e invernali appartenevano a Dioniso. In quest’ultima regione gli erano dedicate molte feste (teletài), a partire dalle Dionisie Oschophòrie che si celebravano a fine ottobre in onore degli acini d’uva maturi e della vendemmia. Fra novembre e dicembre, invece, c’era una festa mobile, che probabilmente coincideva con la prima fermentazione del vino. Nel mese di Poseideòn (dicembre-gennaio) si celebravano le Dionisie rurali dei demi o piccole Dionisie, caratterizzate da cortei giocosi, con cori, danze e canti licenziosi. Vi si svolgevano le falloforie e avvenivano travestimenti rituali con maschere animalesche che riproducevano Satiri. Secondo Kerényi era una sorta di “avvento” dell’epifania del dio.

In un suggestivo articolo dedicato ai mamuthones (…..) Similmente ai primi, però, hanno la caratteristica di essere maschere tragiche perché impersonificano un lutto: vanno per le strade urlando e muggendo, cantando attìtìdos (nenie funebri) intorno al maimone bacchico che, come descrive sempre il prof. Marchi, sembra al tempo stesso un morto che piange, un idolo che si va a sotterrare, un nume o un demone esaltato e glorificato. Il verbo “imbovarsi”, infatti, significa proprio questo: identificarsi nell’animale più utile e perciò venerato; immedesimarsi nella madre amata che piange i morti e, contemporaneamente, immergersi nello stato di euforia e delirio. 1

La studiosa di Tradizioni Popolari Dolores Turchi ha portato avanti la tesi secondo la quale l’origine dei Mamuthones sarebbe quasi ancestrale e legata, solo in un secondo tempo, ai culti dionisiaci diffusisi in tutto il Mediterraneo. Le tracce si ritrovano nell’abbigliamento e nella gestualità degli uomini mascherati, negli strumenti agricoli che li accompagnano ma, soprattutto, in quell’atteggiamento cupo e luttuoso che rievoca la tragedia della morte a cui fa seguito una rinascita simbolica.

Dunque, la tragedia vissuta e rappresentata era quella legata ad una morte, alla fine di un ciclo a cui, però, faceva seguito un nuovo inizio. Esattamente come il susseguirsi ciclico delle stagioni, così anche Dioniso (un dio prima bambino, poi adulto) nasce, cresce, muore e rinasce; esattamente come la vegetazione a cui è strettamente legato. Il dio “venerato” aveva, nella fattispecie, il nome di Dioniso Mainoles, divenuto poi nel tempo Maimone. La finalità del corteo a lui dedicato non era solo quella di piangere pubblicamente la sua morte ma anche di propiziarne la rinascita: Le ossa degli animali, ad esempio, si credeva potessero rigenerare nuova vita. Al tempo stesso, si chiedeva che accanto al suo ritorno in vita potesse accompagnarsi quella pioggia tanto utile per i futuri raccolti. Dioniso è, però, anche un dio psicopompo, come attestano alcuni sarcofagi ostiensi e romani. Nel frammento di uno di questi (oggi conservato nel Museo Vaticano) vi è la figura di un giovane che porta sul petto delle corregge incrociate. Dai loro punti di incrocio pendono campanelli in numero dispari (sette o nove) disposti a tre file. Il tutto è inserito in scene che rappresentano pompe dionisiache concepite in forma corale e sembrano auspicare la rinascita che segue alla morte. Descrivendo tali dettagli, Gennaro Pesce sottolinea evidenti associazioni proprio con le maschere del Carnevale sardo. (1)

Carresecare

VINO, CARNE E SANGUE: la passione di Dioniso.

Sempre stando alle fonti ritrovate dalla Turchi, la passione vissuta dal dio prima di morire veniva ripetuta e ripresentata su una vittima umana che, solo pochi attimi prima di essere gettata nel fuoco, era sostituita da un fantoccio spesso chiamato Zorzi (il fecondatore). Al di là del macabro che possiamo scorgere con i nostri occhi civilizzati e moderni, si trattava di veri e propri riti propiziatori di fertilità, antichissimi e risalenti a quelli legati alla caccia, intesa come prima fonte di sostentamento di una civiltà ancestrale e, comunque, simbolo del dominio dell’uomo sulla natura e il mondo animale.                                              .

Di conseguenza, le tradizioni carnevalesche che sono giunte ai nostri giorni rappresentano una simbolizzazione della cosiddetta “Caccia Grossa”: rivolta a grossi animali pelosi e cornuti (buoi, capre, cervi, montoni) inseguiti, raggiunti e uccisi da cacciatori che si avvalgono di lacci e bastoni. In particolare, la Turchi individua una traccia in più nel modo in cui è chiamato il Carnevale. Carrasecare (carre ‘e secare) vuol dire carne viva da smembrare. Carre, a differenza di petza, designa la carne viva, in particolare quella umana. È più che evidente, in ciò, il rimando all’antico rito dionisiaco del lacerare la carne viva, dilaniare capretti e torelli nati da poco per rendere omaggio al dio nella sua veste di bambino appena sbranato dai Titani. Come attesta il Licheri, nella rappresentazione della cattura e della morte di Dioniso, la scena è rievocata attraverso la cattura e la morte di una vittima sostitutiva. Quest’ultima veniva stordita col vino e con una certa dose di sostanze tossiche spesso mortali: lua (euforbia) e cicuta. Tutto ciò spiega anche perché  tale vittima, nei carnevali sardi, è scomparsa prima delle altre e perché in alcuni paesi dove il carnevale è stato riesumato, la vittima manca. Le maschere si muovono in una sorta di danza zoppicante che rappresenta lo squilibrio deambulatorio tipico delle feste dionisiache, mentre figure vestite a lutto piangono la morte del dio e con esso la fertilità che viene a mancare. La vittima viene generalmente presentata sotto forma di capro, toro, cervo, cinghiale (tutte ipostasi di Dioniso che sotto questi aspetti si manifestava).

Carnevale di Ottana

(…) Ma Dioniso era considerato dagli antichi anche il dio della vegetazione e come tale le sue rappresentazioni erano le stesse delle divinità minori dei boschi, cioè i Sileni, i Fauni, i Pani, e i Satiri. Queste divinità erano sempre rappresentate con la faccia a forma di capra, le orecchie appuntite, le gambe di capra e a volte le corna. Lo stesso dicasi per il toro, che presso gli ateniesi e altre civiltà era considerato il dio del grano e della vegetazione. Entrambi questi animali, nelle antiche comunità che praticavano i riti dionisiaci, venivano catturati e fatti a pezzi vivi, poi se ne mangiavano le carni e se ne beveva il sangue. 5

Dioniso, il «Sole dei Morti»

Riguardo l’àmbito mediterraneo, ci dobbiamo concentrare sulla figura numinosa denominata Dioniso: in questi Nietzsche, oltre a teorizzare la notissima dicotomia apollineo-dionisiaco, ritenne di vedere la nemesi di Zeus (inteso come “dio del cielo diurno”, simile al Dyaus indo-europeo), descrivendolo come un dio del cielo notturno, dell’oscurità, del maltempo, degli inferi ; effettivamente, vi è notare come sovente Dioniso venisse definito “Zeus ctonio/infero” e, quindi, associato a Ade/Plutone, a partire dal noto frammento di Eraclito. Ciò ci porta ancora una volta a considerare il mistero di divinità adibite al tempo stesso al dominio della vita (e della germinazione nel mondo vegetale) così come a quello dei morti e del mondo sotterraneo 2

« L’energia solare penetra anche nel sotterra, secondo il concetto elementare della germinazione delle piante, ma risiede anche nel sotterra, secondo il concetto più scientifico del fuoco cosmico centrale. Dioniso è così il Sole dei Morti ed è anche una divinità catactonica. Il mito rappresenta infatti la discesa di Dioniso-Orfeo all’Inferno. Finché il Sole è assente dal cielo (Apollo agli Iperborei = Inverno) vige la forza germinatrice della terra (Dioniso = sole nel sotterra). » Al mondo ctonio, oscuro e notturno di Dioniso, si riferisce l’epiteto Nuktèlios, che dice il momento in cui si celebravano le orge, cioè di notte. Anche Meilìkios, che designa Dioniso come il dio “dolce mielato”, appartiene alla sfera ctonia del dio, perché il miele era offerto in libagione ai defunti e serviva alla loro imbalsamazione (Persefone, che è divinità sotterranea dei morti, è detta Melitòdes, la dea “mielata”). 4 Entrambi i culti sono associati ed interconnessi. Inizialmente il culto delle divinità ctonie era prevalentemente diffuso nelle aree suburbane e rurali, in particolare tra i contadini, rispetto al culto per le divinità olimpiche, che riguardava gli aristocratici ed era circoscritto entro il limes delle poleis. Il dionisismo fu diffuso nel mondo antico da sacerdoti itineranti e le cerimonie si svolgevano in luoghi celati, soprattutto nottetempo, privilegiando zone poco accessibili, luoghi boscosi e maggiormente luoghi umidi quali antri e caverne, connessi con la stessa fertilità femminile. 3

(1) “A Mamoiada ho incontrato Dioniso”, di Daniela Campus, janaantica:wordpress.com 

(2) Cernunno, Dioniso e altre divinità del ‘Sole invernale’, di Marco Maculotti, dal blog “Axis Mundi”, https://axismundi.blog/2016/11/14/cernunno-odino-dioniso-e-altre-divinita-del-sole-invernale/

(3) Il Culto misterico di Dioniso nel mondo antico, di Antonio Ferragamo, https://avig.mantepsei.it/single/il-culto-misterico-di-dioniso-nel-mondo-antico

(4) Da: Dioniso e il mondo Dionisiaco, Homo Laicus, https://www.homolaicus.com/letteratura/euripide/baccanti/fonti/dioniso-mondo-dionisiaco.htm

(5) https://www.cinquecolonne.it/omofagia-carne-e-sangue-nei-riti-dionisiaci.html


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