We are not wholly bad or good
Who live our lives under Milk Wood,
And Thou, I know, wilt be the first
To see our best side, not our worst.
Non siamo tutti cattivi o tutti buoni
noi che viviamo nel Bosco di Latte
E tu, io lo so’, sarai il primo
a vedere il nostro lato migliore,
non il peggiore

Il Sig.r Dylan Thomas mi fu presentato nel Febbraio del 1993. Lui, quello che mi innervosiva sempre, me lo lesse. Lui che sapeva tutto. Mitragliava alle orecchie. Mi inseguiva per le strade la notte. Doveva parlare. Citava a memoria. Foucault. Althusser. Letteratura, mai. Una piacevole asfissia anche se quasi sempre mi irritava. Mi voleva minorenne. Quello il suo modo di confrontarsi con il sesso. Ero piccola, diceva. Io possedevo 23 anni luce dai miei coetanei. Non avrei potuto percorrere quella distanza, neanche correndo per l’eternità. Mai. E la mia mente era un universo capovolto. I colpi del dolore come i miei passi, sicuri come il respiro. Un acido potente mi era stato versato dentro, non ricordavo quando, mi corrodeva da dentro, mi procurava dolori orribili, apriva ustioni sulla pelle; chiudevo tutto nel mio cappotto nero di pelle allora. Convivevo da tempo con qualcuno, ed il sesso aveva poggiato su tutte le lettere del suo alfabeto. Ma ero sola. Così avevo deciso. Lui, quello del libro, parlava sempre velocissimo. Mi istruiva, così credeva. Adorno. – La psicoanalisi è una mitopoiesi, molla la Psicologia. Non leggerne più. Non c’è la cura lì dentro in quei libri. Lì non la troverai mai. – Poi Hegel. Wittgenstein. Le parole nervose di Lui echeggiavano anche quella sera nella sua casa senza mobili. Il palazzo aveva quattrocento anni. Affreschi sulle volte, scaloni in marmo. Non ricordo il piano. In affitto, una cifra ridicola, sospetta. Ne fui irritata. Per finire la tesi, mi disse. Mi fece entrare, io ero una ragazza elettrica, da mesi spine da 200v applicate addosso, sul corpo, tutto. Ogni nervo era percosso, ogni cellula accesa a giorno. Nel cuore 180 frecce affondavano fino ad imporsi nel muscolo, una scossa continua lo scuoteva come lampreda al morso. Continuava la scossa, da qualche mese. 180 battiti al minuto. Tremavo, sbattevano i denti e sbattevo sui muri, sulle porte. Lui, faceva come se non fosse. Per lui non era malattia, era primavera uscente, erano occhi addormentati nella terra fulminati dal sole. Sfogliavo un libro dove stavano spalmati colori, forme di giardini. Le ultime sensazioni che ancora provavo: un pergolato di glicine, un giardino, burro fatto in casa guarnito con le erbe, vecchi mobili che perdevano vernice, la primavera inglese. Non lo sapevo ancora che per me sarebbe stata l’ultima primavera. Io ero aggrappata a quelle immagini affondavo bene l’occhio mentre lui declamava. Oltre la sua altezza, agli angoli dei soffitti, una luce nera. Era dappertutto. Lui incominciò a leggere. 24 anni. Qualcosa risuonò dentro, ma le lettere erano trasparenti e non componevano figura. 24 anni era il futuro che sarebbe venuto a mordermi. Io dovevo guarire da quella cosa. Non pensavo ad altro. L’ombra nera mi seguiva in ogni ambiente. Un’elettricità guasta scuoteva il mio corpo. Mi diede il libro in cucina. Non glielo restituii mai più. Poi l’aprì a Giugno o forse era Luglio, nella città deserta. Le parole mi scorrevano addosso, ora che ero immersa in quelle acque torbide per sempre. Ne provai un’intima soddisfazione. Le ingoiai una per una. Verso la meta conclusiva, la città elementare, io vado quanto è lungo il sempre.
Twenty-four years remind the tears of my eyes.
(Bury the dead for fear that they walk to the grave in labour.)
In the groin of the natural doorway I crouched like a tailor
Sewing a shroud for a journey
By the light of the meat-eating sun.
Dressed to die, the sensual strut begun,
With my red veins full of money,
In the final direction of the elementary town
I advance as long as forever is.
Ventiquattro anni mi ricordano le lacrime agli occhi.
(Sotterra i morti sei hai paura che vadano alla tomba con le doglie.)
Nell’arco della porta naturale stavo accucciato come un sarto
Cucendomi un sudario per un viaggio
Sotto la luce del sole divoratore di carne.
Tutto vestito per morire, il sensuale incedere iniziato,
Con le mie rosse vene piene di soldi,
Verso la meta conclusiva, la città elementare,
Io vado quanto è lungo il sempre.