
Cueva de La Peña, Asturie, Spagna
Il clan si prepara a una nuova, fredda giornata. Fuori dalla grotta cade una pioggia gelida. In un angolo alcuni ragazzi intagliano schegge di pietra con l’aiuto di un adulto. All’ingresso della caverna le braci di un falò disperdono ancora fumo. In lontananza si intravedono brucare dei cervi maestosi. In fondo alla grotta, su una parete, un abile giovane rifinisce i tratti del disegno di un cavallo incominciato alcuni giorni prima. Scene come questa dovettero ripetersi migliaia di volte nel continente europeo durante il Paleolitico superiore, tra i 41mila e i 12mila anni fa. Fu un periodo di glaciazioni, ma anche di esplosione creativa, nel quale l’uomo di Neanderthal si estinse e i membri della nostra specie, l’Homo sapiens, colonizzarono il vasto territorio muovendosi in base ai cambiamenti climatici. Siamo nella Glaciazione di Würm, l’ultima che colpì l’Europa e che noi conosciamo, infatti, come Ultimo periodo glaciale. Ebbe inizio all’incirca 110mila anni fa e raggiunse il suo massimo, la fase più fredda, tra i 25mila e i 19mila anni fa.

Caverna di Altamira, Spagna
Allora i sapiens – in Europa conosciuti come Cro-Magnon – erano ormai gli unici abitanti delle terre comprese tra il Portogallo e gli Urali. Erano, però, presenti pure in Africa, Asia e nella lontana Australia, e alcuni studiosi credono che fossero giunti perfino in America. Quando arrivarono in Europa, nel pieno del periodo glaciale, ovvero circa 45mila anni fa, i Cro-Magnonnon erano soli: vi vivevano ancora i neanderthaliani, che scomparvero poco dopo la loro venuta; alcune comunità sopravvissero forse fino a 25mila anni fa a Gibilterra, area che fu la loro ultima dimora secondo il paleoantropologo britannico Clive Finlayson. Una delle grandi domande della preistoria è come ebbe luogo l’incontro tra i neanderthaliani e i sapiens. I secondi giocarono un ruolo nell’estinzione dei primi? Recenti datazioni su 13 siti del nord della Spagna, condotte dal team del Centro nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH) di Joseba Ríos, indicano che le due specie condivisero quella zona per meno di un millennio, un intervallo di tempo che riduce le possibilità di interazione tra i due gruppi. La loro scomparsa non sarebbe quindi legata alla nostra specie, ma alla scarsa diversità genetica dei neanderthaliani, ormai isolati gli uni dagli altri. Tuttavia gli studi genetici compiuti nel Centro Europa indicano che lì convissero per circa cinquemila anni ed ebbero anche dei discendenti in comune. A quei tempi il corredo genetico dell’Homo neanderthalensis conteneva circa il dieci percento del DNA di un sapiens, come nel caso dell’Uomo di Oase, in Romania, che visse tra i 42mila e i 37mila anni fa. Quella percentuale, però, si assottigliò con il tempo fino ad assestarsi a un due percento del nostro attuale corredo genetico.
Un mondo in movimento
In Europa i sapiens si trovarono davanti un clima gelido. In regioni come l’Andalusia di 40mila anni fa, per esempio, la temperatura media annuale stazionava tra i nove e gli undici gradi, come si apprende dallo studio dei resti di tre mammut lanosi trovati nella torbiera di El Padul (Granada). A mano a mano che, nell’Ultimo massimo glaciale, le terre si coprivano di ghiacci, i popoli migravano cercando rifugio nel sud del continente, più caldo, dal quale non uscirono finché le temperature non risalirono di nuovo. Da lì la ricchezza di ritrovamenti nella Francia meridionale, settentrionale e nella parte orientale della penisola iberica o dell’Italia, soprattutto durante il Solutreano, tra i 25mila e i 17mila anni fa.