
Il pensiero che prende forma appena, sfilacciato ed informe, prima di essere pugnalato dal raziocino, ordinato, incasellato e censurato.
Dalla bocca della coscienza, una leggera schiuma: dentro si muovono come bacilli su un vetrino di microscopio creature semoventi, la loro presenza è insistenza, spesso si fa conato, oppressione, le mani dell’io si agitano ridicole allora, urtano cieche contro la “realtà” e i suoi muri, cercando una via di fuga.
Per la Serraute come per Sartre l’inferno sono gli altri, ma l’inferno della Serraute è quello di un io che non riesce a compiersi e a formarsi: nelle sue pagine gli altri sono presenze appuntite che pigiano a forza contro un essere senza corazza, ora vulnerabile nel suo eterno nascere e disfarsi, ora trionfante e vanaglorioso nel suo isolamento; i suoi pensieri si formano solo a metà, in una zona psichica indifferenziata che anticipa l’ingresso nella vita e l’attraversa senza viverla, in uno stato di sospensione pericolosamente vicino a uno stato di quiescenza e di morte; si fa fatica a divenire e si viene sopraffatti dai sensi, gli altri ci calpestano, l’io accenna una forma appena, timidamente si svela per diventare sostanza corporea, ma il sapore del mondo s’impone, schiaccia e impedisce ogni sviluppo, ricaccia indietro in quella terra di nessuno abitata da chi è sospeso fra la vita e la morte.
La vita ci risucchia indietro, è inevitabile, si sperimenta il mondo, i suoni, le voci, le facce, per poi ritrarsi dall’aroma del disgusto, si rimane immobili da uno stipite di porta, nel grembo di un corridoio, il senso di sè informe, inetto, infantile come appena uscito dal grembo di un sogno; si viene colpiti, tramortiti dalle parole, dai giudizi, pugnalati da un’impressione, in una veglia di sogno, un crepuscolo impotente. Ma tra la vita e la morte è anche un’accenno a quel momento fatidico della vita in cui l’individuo, strappato ai suoi sogni, sperimenta per la prima volta “il reale” spogliato da ogni bugia ed illusione; la presenza della morte rende tutti incapaci di mentire. Per questo “tra la vita e la morte” per la Sarraute è anche la scrittura slacciata da ogni inibizione, colpa o menzogna.
E’ una scrittura che matura all’ombra fredda della morte e più generalmente, del non-essere, dell’impossibilità di essere, ed è anche una riflessione sul potere che hanno gli altri su di noi.
Le torsioni e le distorsioni di un io impreparato alla vita, fatalmente destinato ad essere continuamente ricacciato indietro, nel non-essere, per la Sarraute appartengono alla categoria provvisoria dei “tropismi”, epiteto nato dalla biologia vegetale che descrive “quell’universo di impulsi che spingono un essere a passare in pochissimi istanti da un sentimento al suo contrario”.
“Tra la vita e la morte”
“Sono come folletti, come gnomi maliziosi….si rotolano per terra, saltano a piedi uniti dai letti, dalle poltrone, si buttano l’uno sull’altro senza motivo e si picchiano…tutti i loro gesti sembrano disordinati, distratti, un pò ritrosi….li interrompono continuamente come se fossero spinti da non si sa quale brusco impulso, quale vago desiderio subito dimenticato…fanno scivoloni, si dondolano, si arrampicano, si avvinghiano l’uno all’altro, si danno spintoni, fanno matte risate, sorrisi…sanno che cosa li ha provocati senza bisogno di dirsi nulla o forse possiedono un linguaggio che sono i soli a cogliere, si fanno segnali che lui non conosce….Di colpo si accalcano, si stringono, si dicono a bassa voce qualche parola…scoppiano a ridere, si danno gomitate…
I loro sguardi scivolano su di lui come senza vederlo, sembra che non avvertano la sua presenza, che non si accorgano di come sia lì tutto teso verso di loro, gli occhi fissi su di loro, a osservare tutti i loro movimenti, piantato lì davanti a loro come davanti alla gabbia delle scimmie, alla fossa dei serpenti…Ci si sente, non è vero?, così diversi…fieri di esserlo e nello stesso tempo si vorrebbe avere il corpo flessibile che essi piegano, dispiegano, avvolgono, scagliano, la loro gaiezza, la loro spensieratezza…Tutto questo è ben noto, è vecchio come il mondo, è già stato descritto da molto tempo, da molto tempo è stato archiviato…Esse tengono nelle mani un po’ gonfie…gli anelli infossati nella carne floscia delle dita formano dei cuscinetti…le punta delle dita grassocce con le unghie rosso vivo sono rivolte leggermente all’insù…c’è in questo qualcosa di ripugnante che fa venir voglia di distogliere gli occhi…tengono fra le dita il quaderno in cui scrivono accanto a ogni nome le loro osservazioni…questo..è molto caratteristico…ha tutti i segni: goffaggine, timidezza, sensazione di essere diverso, superiore…”Oh no, Signora, non è così…”. “Ma sì, ma sì, invece, tutto questo è ben noto, mio piccolo amico, si è studiato da molto tempo la composizione di questa mescolanza, è fatta di disprezzo, di nostalgia, d’invidia, dell’impressione di essere incompreso, disdegnato, di sconforto misto a voluttà, di un senso orgoglioso di solitudine…Sono, senza dubbio, sintomi caratteristici…Segnare: fa il disadattato. Fa il predestinato”.
NATHALIE SARRAUTE – “TRA LA VITA E LA MORTE”
Postato 10th January 2013 da Videodromer
