“Tua figlia sia maledetta, Lady Maere, che ella non possa mai guardare il mondo dalla sua finestra e che non possa mai uscire dalla rocca o il prezzo sarà una morte atroce. Io Morgana Pendragon, figlia di Ygrajne, la maledico ora nel tuo grembo affinché la vita che porto nel mio, ne sia pegno. Nulla potrà spezzare questa maledizione e per il nome di tua figlia io ti proibisco di parlare con chiunque di quanto hai sentito oggi e gli dei mi siano testimoni.”

La Dama di Scalotta – tratta da una novella italiana del XIII sec.
“Una figliuola d’un grande Varvassore si amò Lancialotto de Lac oltremisura, ma elli non le volle donare suo amore; imperciocchè elli l’avea donato alla Reina Ginevra. Tanto amò costei Lancialotto, ch’ella venne alla morte, e comandò, che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arredata una ricca navicella, coperta d’un vermiglio sciamito con unbricco letto ivi entro, con ricche, e nobile coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in su questo letto, vestito de’ suoi più nobili vestimenti, e con bella corona in capo ricca di molto oro, e di molte ricche pietre preziose; e con ricca cintura, e borsa. Ed in quella borsa avea una lettera dello infrascritto tenore. Ma in prima diciamo di ciò, che la damigella morio del mal d’amore. E fu fatto di lei ciò, che ella avea detto, della navicella sanza vela, e sanza remi, e sanza neuno soprasagliente, e fu messa in mare. II mare la guidò a Camalot, e ristette alla riva. II grido fu per la Corte. I Cavalieri, e Baroni dismontaro de’ palazzi, e lo nobile Re Artù vi venne: e maravigliandosi forte molti, che sanza niuna guida questa navicella era cosi apportata ivi. Il Re entrò dentro, vide la Damigella, e l’arnese. Fe’ aprire la borsa; trovaro quella lettera. Fecela leggere, e dicea cosi. A tutti i Cavalieri della ritonda, manda salute questa Damigella di Scalot, siccome alla miglior gente del mondo. E se voi volete sapere perch’ io a mio fine sono venuta, cioè per lo migliore Cavaliere del Mondo, e per lo più villanio, cioè Monsignore Messer Lancialotto de Lac, che già no’il seppi tanto pregare d’amore, ch’elli avesse di me merce e cosi, lassa! sono morta per bene amare, come voi potete vedere.” 1

Il Ciclo Arturiano
La Signora di Shalott, o meglio la bella dama di Astolat, Elaine, è compresa nel ciclo arturiano tardo-medievale di Thomas Malory. (seconda metà del XV secolo). Questa raccolta di storie incentrate su Artù ebbe molte diramazioni: la saga si è sviluppata attraverso i secoli, attingendo alle tradizioni celtiche di Artù, che raggiunsero il continente attraverso la Bretagna. Thomas Malory produsse una gigantesca saga arturiana che molti considerarono la storia “standard” di Artù. In questo ciclo arturiano apprendiamo del concepimento di Artù, quando Uther avvicina Igraine grazie a un maleficio di Merlino che lo trasforma in suo marito. Il piccolo Artù, frutto di questa unione, viene affidato a Ector perchè lo cresca in segreto. Questa vasta collezione di materiale proveniente da diverse fonti continuava a crescere, e ad essere adattato e ri-adattato, raccontato e ripetuto in varie forme per tutto il Medioevo. Alla fine del Medioevo divenne chiaro che per molti lettori di lingua inglese il ciclo arturiano fosse quello di Thomas Malory. Sono stati sollevati dei dubbi riguardo a chi, tra una rosa di suoi contemporanei dallo stesso nome, doveva essere identificato con il nostro autore. Esiste anche il dubbio se la sua “Morte d’Arthur” fosse stata originalmente scritta come un corpo unico oppure come storie separate. Il titolo è fuorviante e fu attribuito a William Caxton, che lo diede alle stampe. Nel libro ci sono poche tracce delle tradizioni celtiche della saga originaria: qui Artù viene presentato come il legittimo re d’Inghilterra, un regno che non sarebbe stato possibile attribuire ad un “Artù storico”; Il libro ha fatto da base per innumerevoli ripetizioni e rielaborazioni di storie per bambini ed è sotto questa forma che molti di noi hanno conosciuto la figura di Re Artù. La Saga Arturiana è pervasa da eccitazione e vigore, anche se la versione di Thomas Malory tendeva a minimizzare il sovrannaturale ed il fantastico. Dopo Malory, furono prodotti in Inghilterra una serie di racconti Arturiani degni di nota. Lo scrittore Elisabettiano-Giacobeo Richard Johnston ne scrisse due, “Tom a’ Lincoln” e “Tom Thumb”. La regina degli elfi di Edmund Spenser (1590) può a buon diritto essere giudicata come appartenente al ciclo Arturiano, dato che contiene molto materiale Arturiano nonchè la figura di Artù stesso. (…) Dopo questa opera però la letteratura Arturiana sembra aver subito una parabola discendente. Potrebbe essere stata salvata da Milton, che covava da sempre l’ambizione inconfessata di scrivere una saga Arturiana. Le opere di stampo Arturiano uscite dopo il ‘600 sono considerate di qualità inferiore. La ragione va rintracciata in un profondo cambiamento di prospettive nel mondo occidentale. In un periodo dove la gente aveva assunto un atteggiamento per così dire “razionale”, storie di fate, streghe, draghi e giganti erano diventate fuori moda, e adatte unicamente per i bambini. Inoltre, il fantastico era diventato un genere inappropriato per un paese dominato da una progressiva industrializzazione e per quanto bizzarro possa sembrare, i protestanti del periodo avrebbero potuto anche giudicarlo, data l’ambientazione storica della saga, come portatore di vaghe “connotazioni papiste”.
Elaine, la figlia del Signore di Astolat, è una tra le figure più affascinanti delle leggende arturiane. E’ quasi shakeasperiana nella sua franchezza, nella sua devozione e nella sopportazione del suo amore devastante, sorella in letteratura a Imogene e a Ofelia. Tennyson scovò questa gemma da un corpus di letteratura antica, conosciuta da pochi, e la pose dentro la cornice del suo Idillio, dove splende come una stella.


(….) “L’ospite (Lancillotto) fu subissato di domande su Re Artù e sulla Tavola Rotonda. L’anziano padre fu deliziato nell’ascoltare lo splendore della Corte, ed il giovane Lavaine (fratello di Elaine) ascoltò con molta curiosità le storie di avventura. Elaine rimase seduta in silenzio, mentre i suoi occhi lucidi ed indagatori si posavano sull’espressione animata del volto di lui mentre parlava, consapevole di un’emozione che non aveva mai provato. Elaine ascoltava pensando che per quanto Artù potesse essere importante, di certo il cavaliere che stava parlando doveva essere più valoroso. Egli riusciva a passare dai racconti di guerra alle amenità; e mostrava dignità anche nel riso. A volte i furtivi e attenti occhi della ragazza, già innamorata, riuscivano a scorgere un’ombra di malinconia che gli attraversava il volto, ma quando egli si rivolgeva a lei aveva una tenerezza gentile che istantaneamente Elaine riconobbe come l’intima natura dell’uomo che aveva davanti. La notte seguente la bella Elaine dormì poco e sognò Lancillotto che nell’immobilità della notte parlava di nobili azioni e pensieri. Si alzò presto e scivolò lungo i gradini dell’alta torre “solo per salutare suo fratello Lavaine”, si era detta, e se per caso ci fosse stato qualcun altro che desiderava vedere ancora una volta, cercò di nasconderne il segreto nel suo cuore di fanciulla. Sentì Sir Lancillotto nel cortile chiedere del suo scudo, lo vide mentre accarezzava la spalla del suo nobile cavallo e quasi invidiò quella carezza. Fece un timido passo in avanti e quando Lancillotto posò gli occhi su di lei, sospesa tra la ritrosia e il coraggio nella luce innocente ella sua giovane età, sentì della venerazione per la sua bellezza. La salutò come fa un cavaliere con la dama; lei, la fanciulla, cedendo a un impulso che la fece arrossire e battere più forte il cuore, disse: “Messere gentile dal nome sconosciuto, ma che io credo che sia tra i più nobili, indosserà i miei colori al torneo?” Suo fratello Lavaine la baciò con affetto, burlandosi del suo pallore, che fu subito rimpiazzato da un altra vampata, quando vide gli occhi di Lancillotto che la fissavano con un espressione tra il divertito e il cortese. Lui le baciò la mano e con Lavaine al suo fianco partì. Elaine si fermò un momento e poi si diresse velocemente al cancello dove si appoggiò allo scudo, guardandoli andare via, i capelli biondi scompigliati sul suo visino serio, ancora un po’ acceso dall’impronta del bacio del fratello. Dopo salì i gradini della Torre portando con sè lo scudo e una volta in camera iniziò a fantasticare (….)
Lancillotto esitò per un momento e poi con un sorriso sulle labbra ammise la forza del suo ragionamento. La sua giovinezza e il fare scherzoso lo avevano portato a vederla come una bambina e così ridendo le disse di andare a prendere il nastro perchè l’avrebbe indossato. Lei corse a prenderlo con entusiasmo: gli portò una manica di tessuto rosso bordata di perle, che Lancillotto indossò intorno all’elmo e le disse che questa cosa non lo aveva mai fatta per nessuna. Lei a quelle parole arrossi di contentezza, e poi tornò pallida, consapevole della sua audacia. Lavaine portò lo scudo privo dei colori di Torre, poi Lancillotto chiese ad Elaine di fargli il favore di custodire il suo scudo fino a quando non fosse ritornato.
Artù era risentito con Gawaine pechè aveva rinunciato così presto alle ricerche di Sir Lancillotto e perchè aveva donato il diamante ad Elaine. La Corte apprese velocemente che era stato Lancillotto a vincere il torneo; e la storia del suo amore per Elaine fu allo stesso modo rapidamente scoperta, dato che Gawaine aveva riferito ciò che aveva sentito ed era pieno di ammirazione per la bellezza della fanciulla giglio di Astolat. Il pettegolezzo che girava per la Corte non andò oltre. Persino ai banchetti i cavalieri brindavano a “a Lancillotto e alla ragazza giglio”. La Regina mantenne un contegno di calma e tranquillità, osservando che le dispiaceva che un così grande cavaliere come Lancillotto fosse caduto così in basso; ma la gelosia dimorava nel suo cuore, sebbene nessuno avesse notato qualche segno visibile della violenta passione che la animava.
Quando scese la febbre e Lancillotto riconobbe di nuovo il dolce viso della fanciulla, e quando seppe come lo aveva teneramente assistito, sentì di amarla, ma solo come una giovane e cara sorella. Aspettò di sentire il suo passo che arrivava, parlò con lei in maniera affettuosa, la chiamò sua amica e “dolce Elaine” e appoggiò le sue lunghe mani affusolate sulle sue. Si fossero incontrati prima la superba bellezza della Regina lo avrebbe confuso, e l’amore puro e fiducioso della fanciulla lo avrebbe reso un uomo diverso e migliore, anche se, nelle parole di Tennyson, parole che nella loro sottile antitesi, arrivano a rivestire una forma e una profondità di significato Shakeasperiano, questo stato d’animo di Lancillotto appare meno puro e nobile
The shackles of an old love straitened him
His honour rooted in dishonour stood
And faith unfaithful kept him falsely true
Le catene di un vecchio amore lo stringevano
Il suo onore saldato al disonore
E la sua fedeltà infedele lo rendeva
falsamente veritiero
A volte guardando l’esile figura di Elaine muoversi nella cella senza far rumore e ascoltando la sua voce musicale e sommessa che gli parlava con così tanta tenerezza, e quando prendeva dalle sue mani il cibo per sostenerlo che aveva preparato lei stessa, o una fresca bevanda, gli pareva di vivere una vita più pura e sacra e si decise a non fomentare più questo amore colpevole. I pensieri indegni potevano, a volte, essere scacciati dalla presenza della sua amorosa innocenza, poichè le forme malvagie sono costrette ad allontanarsi in volo dalla pura luce che emana dagli angeli. Ma non appena riacquistò le forze, le sue violente passioni tornarono ancora più forti; l’ombra di Ginevra si frapponeva tra lui ed Elaine, così che quando lei parlava egli le rispondeva con fredda cortesia. Elaine aveva sopportato molto quando la febbre infuriava poichè sapeva che era la malattia a parlare e non il gentile uomo di corte; ma che cosa potesse significare questa freddezza improvvisa, questo istantaneo riserbo lei non riusciva a capirlo. Lacrime scesero lungo le guance, e prima del suo solito, lasciò la grotta (dell’eremita) attraversando i campi fino alla città.
L’incidente a cui si fa riferimento è la ricaduta sofferta da Lancillotto dopo che Sir Bors gli aveva riferito di un grande torneo che avrebbe avuto luogo a Camelot, con Artù che avrebbe giostrato contro il Re di Northgalis. Eccitato dalla notizia, Lancillotto volle alzarsi per andare a Camelot. Con l’aiuto di Sir Bors e del fratello di Elaine e complice l’assenza dell’eremita e della ragazza, si era armato di tutto punto ed era già in sella al suo cavallo quando la ferita, nello lo sforzo di scagliare una lancia, non si riaprì, gettando Elaine nella disperazione. La ragazza aveva chiamato Sir Bors ed il fratello “falsi traditori”, poi aveva soccorso e teneramente baciato Lancillotto.
Tennyson non menziona questo incidente che mostra in maniera molto naturale il profondo amore e la prontezza di spirito della fanciulla angosciata dalla condizione dell’uomo che amava con sollecitudine e che aveva vegliato così teneramente. Il poeta parla del ritorno di Elaine e di suo fratello Lavaine ad Astolat in compagnia di Lancillotto, quasi curato dalla sua ferita. L’amore di Elaine era cresciuto giorno dopo giorno, mescolandosi al timore crescente di amare invano. Quando per Lancillotto giunse il momento di partire, le chiese quale ricompensa poteva darle come dimostrazione della gratitudine per la gentilezza da lei dimostrata. “Non temere” disse “di chiedere qualunque cosa tu voglia. Sono principe e padrone laggiù nelle mie terre, e con piacere ti farò un dono che soddisfi tue aspettative.” Con tutte le sue mancanze, Lancillotto possedeva una natura generosa che gli faceva considerare con affettuosa pietà l’aperta devozione della fanciulla, per età quasi una bambina. Con un sorriso gentile le disse: ” Se fossi stato fatto per il matrimonio, mi sarei sposato tempo fa. Il tempo è passato ormai e io non mi sposerò più”.
Fammi venire con te allora, gli ripose in fretta Elaine, sapendo ben poco del mondo e delle sue maniere perverse di vedere le conseguenze di ciò che aveva chiesto: “Fammi stare con te così che potrò sempre vedere il tuo viso, servirti, e seguirti per il mondo” Ti dimenticherai presto di me oppure più semplicemente sorriderai al mio ricordo. Tempo verrà, io spero, che donerai il tuo amore a un uomo più adatto a te per età e che sia alla tua altezza, perchè io so’ quanto tu sia buona; e se il cavaliere che avrai scelto non sarà ricco, ti darò grandi appezzamenti di terre del mio territorio al di là del mare, se questo ti farà felice; e di più, sarò il tuo campione, se ne avrai bisogno, in qualsiasi lite, anche fino alla morte. Questo Elaine, io te lo prometto, di più non posso. (….) Lei fu portata dai suoi servi fino alla camera nella torre; e suo padre che, aveva saputo ciò che era accaduto, senza che la figlia e Lancillotto lo sapessero, si fece avanti.
Egli riconobbe l’onorabile presenza e la gentilezza del cavaliere, ma gli chiese di diminuire la sua cortesia ed adottando un modo di parlarle più brusco “di ottundere o infrangere la sua passione”. Fu difficile per lui, allenato com’era alla cortesia reverenziale nei confronti di bellissime dame – e veramente considerando Elaine con l’amorevole affetto che avrebbe provato per una sorella minore – a seguire il suo consiglio; ma decise di non vedere più la ragazza o che, se l’avesse vista, di non parlare con lei. Con il fare della sera giunse il tempo per lui di partire. Fece mandare un servo da Elaine per andare a prendere il suo scudo. Lei si sollevò dal divano e tolse il manto ricamato di seta che ricopriva lo scudo e lo consegnò all’inserviente.
Musica e Poesia erano il linguaggio naturale per un animo tanto impulsivo e sensibile alla bellezza come quello di Elaine. Le sue fantasie infantili erano diventate l’ordito di melodie allegre o dolci, che lei gorgheggiava mentre giocava nei campi od era appollaiata sulle ginocchia del padre. Ora la sua tristezza era stata incorporata in una canzone che lei chiamò la canzone dell’amore e della morte; e con una voce gentile lei cantava nella solitudine della sua camera. Quale sarà il più dolce, l’amore o la morte? Non posso seguire l’Amore e quindi la Morte dovrà venire, e quella che seguirò per me ora è più felice dell’Amore. “Che io muoia!” cantava, e la sua voce sembrava avere uno strano potere. La triste melodia fu udita all’alba al di là dei venti impetuosi che facevano ondeggiare la torre. C’era una vecchia leggenda che circondava la casa, che prima della morte di un membro della famiglia, si sentisse uno spirito che pietosamente si trascinasse per il castello piangendo; e Sir Torre e Sir Lavaine (i due fratelli di Elaine) ascoltando la strana canzone, pensarono fosse un presagio della morte della sorella. Avvertirono il padre e i tre si affrettarono nella camera dove trovarono Elaine con la luce dell’alba luminosa che le illuminava il viso bianchissimo, mentre cantava la triste canzone che aveva composto.
Il vecchio re si piegò in avanti e la baciò e poi rimase in piedi a guardarla in preda a un’emozione profonda. La canzone era terminata ed Elaine tornò a sdraiarsi sul divano. Prese le mani dei fratelli nelle sue e rimase in silenzio per un po’, guardandoli nel viso. Poi parlò, e disse che aveva sognato di essere di nuovo bambina e di galleggiare su una barca sul grande fiume come spesso avevano fatto. Non andavano mai, in quei giorni andati, oltre una sporgenza della riva dove cresceva un pioppo, e lei una volta aveva pianto perchè non si andava mai oltre quel punto che portava al palazzo del Re. Nel sogno credeva di essere sola sopra l’acqua ma nel momento in cui disse “Ora seguirò la mia volontà” si svegliò. La volontà espressa nel sogno era più forte ancora al risveglio; così lei chiese ai suoi fratelli di abbandonarla all’ampio fiume e passando oltre l’albero di pioppo, fino al palazzo del Re. Lì sarebbe entrata con audacia e nessuno avrebbe provato a deriderla. Avrebbe visto Gawaine, che si era da lei congedato ripetutamente e così cortesemente, e Lancillotto, che se n’era andato con freddezza senza dire una parola. Il Re l’avrebbe conosciuta e avrebbe saputo anche della storia del suo amore, sarebbe stata accolta dall’intera Corte e così alla fine avrebbe riposato in pace.2
Brani tratti da:


Su entrambi i lati dove giace il fiume.
campi di orzo e segale si stendono
A vestire la terra ed a abbracciare il cielo;
E attraverso la brughiera la strada scorre
Fino a Camelot dalle molte torri ;
Avanti e indietro va la gente
Guardando dove fioriscono i gigli
che incorniciano un'isola là sotto,
L'isola di Shalott.
Impallidiscono I salici, fremono i pioppi,
Le brezze leggere si oscurano tremando.
Attraverso l'onda che fluisce per sempre.
Accanto all'isola sul fiume
Che scorre verso Camelot.
Quattro mura e quattro torri grigie,
Si affacciano su un prato fiorito,
E l'isola silenziosa circonda
La signora di Shalott.
Lungo le sponde, dai salici oscurate,
scivolano le pesanti chiatte,
Da cavalli lenti trascinate;
e La scialuppa, con vele di seta adornata,
Scivola sull'acqua indisturbata
fino a Camelot:
Ma chi l'ha vista agitando la mano salutare?
O dalla finestra della torre apparire?
Ma qualcuno in tutto il regno la conosce?
La signora di Shalott?
Solo i mietitori, che mietono la mattina presto,
In mezzo all'orzo barbato
Sentono una canzone riecheggiare allegra
E limpida snodarsi lungo il fiume
Giù fino a Camelot turrita;
E con la luna il mietitore stanco,
Accumulati i covoni sugli altopiani ariosi
Ascoltando, sussurra: "È la fata,
La signora di Shalott. "
PARTE II
Là tesse notte e giorno
Un magica tela dai colori allegri.
Ha udito qualcuno sussurrare
Che una maledizione pende su di lei
Se rimarrà a fissare verso Camelot.
Lei non conosce della maledizione
Il senso e così lei fila di continuo,
E pochi altri interessi nutre
La signora di Shalott.
E in movimento su uno specchio limpido
Che le resta davanti tutto l'anno
Appaiono le ombre del mondo.
qui vede la strada maestra vicina
Che serpeggia fino a Camelot;
Là la corrente del fiume vorticante,
E lì sono i paesani rozzi
e le ragazze del mercato con i mantelli rossi
Passano tutti oltre, venendo da Shalott.
A volte un gruppo di damigelle festanti,
Un abate su un cavallo riluttante,
A volte un giovane pastore dai capelli ricci
O un paggio dalle lunghe chiome vestito di scarlatto
Passano di là, diretti a Camelot turrita;
E a volte attraverso lo specchio azzurro
I cavalieri cavalcano due a due.
Lei non ha un cavaliere leale e veritiero,
La signora di Shalott.
Ma della sua tela ancora si delizia
A tessere le magiche comparse dello specchio,
Perchè spesso nelle notti silenziose
Un funerale, con pennacchi, luci
E musica, è passato verso Camelot;
Ma quando sotto la luna alta,
dal chiarore della luna illuminati
due giovani sposini son passati.
"mi sto stufando delle ombre", ha detto lei
La signora di Shalott.
PARTE III
A un tiro d'arco dalla torre,
E' lui al trotto tra i covoni d'orzo,
Il sole ha luccicato tra le foglie,
E ha incendiato di bronzo gli schinieri
di Sir Lancillotto l'audace.
un crociato per sempre inginocchiato
alla sua dama sul suo scudo di metallo
Che ha lampeggiato su quel campo giallo,
Accanto a Shalott remoto.
La briglia di gemme incastonata
Scintillava come (un grappolo di) stelle
Appese a una galassia dorata.
I campanelli suonavano allegri
Mentre cavalcava verso Camelot:
E appesa al budriere decorato
Una tromba d'argento, maestosa
E mentre cavalcava, tintinnava l'armatura
Accanto a Shalott remoto.
Tutto in quel tempo azzurro senza nuvole
il cuoio della sella, incrostato di diamanti risplendeva,
L'elmo e la piuma dell'elmo
Bruciando come una sola fiamma ardeva,
Mentre cavalcava fino a Camelot.
Come di sovente nella notte viola,
Sotto gli ammassi stellati luminosi,
Qualche cometa, che brucia luminosa,
Si muove sopra Shalott silenziosa.
La sua fronte ampia e chiara sotto il sole risplendeva ;
Su zoccoli lucidati il suo cavallo da guerra procedeva
Da sotto l'elmo i riccioli neri
color carbone ondeggiavano,
Mentre cavalcava verso Camelot.
Dalla riva e dal fiume
Balenò nello specchio di cristallo
"Tirra lirra," presso il fiume
Cantava Sir Lancillotto.
Lei lasciò la tela, lasciò il telaio,
Fece tre passi per la stanza,
Guardò la ninfea fiorire,
Vide l'elmo e il pennacchio,
Vide Camelot dall'alto verso il basso.
Fuori volò il telaio stendendosi sul fiume;
Lo specchio si spaccò da parte a parte;
"La maledizione è su di me", gridò
La signora di Shalott.
Nel burrascoso vento dell'est che soffia forte,
I boschi giallo pallido stavano svanendo
L'ampio ruscello tra le sue rive si agitava
E dal cielo basso forte pioveva
Sopra la turrita Camelot;
Lei scese fuori e trovò una barca
Sotto un salice rimasto a galla,
E sulla prua scrisse
La signora di Shalott.
E giù per l'oscura distesa del fiume
In trance come una veggente audace,
Vedendo davanti a sè la sua sfortuna -
Con lo sguardo vitreo
Guardò fissa verso Camelot.
E alla chiusura del giorno
Sciolse la catena e si distese;
L'ampio torrente la portò lontano,
La signora di Shalott.
Si sdraiò, avvolta in vesti candide
che al vento mollemente si agitavano
Le foglie cadevano su di lei leggere -
Attraverso i rumori della notte,
Lei fluttuò fino a Camelot:
E mentre la testa della barca procedeva
Le colline di salici e i campi in mezzo,
La sentirono cantare la sua ultima canzone,
La signora di Shalott.
Ascoltarono un canto addolorato e sacro,
Cantato ad alta voce, poi più bassa,
Finché il suo sangue lentamente si rapprese
Ed i suoi occhi non persero la luce,
Mentre fissavano la turrita Camelot.
Prima che, trascinata dalla corrente,
Raggiungesse la prima casa sulla sponda,
Morì Cantando la sua canzone,
La signora di Shalott.
Sotto la torre ed il balcone,
Dalle mura del giardino e dalla loggia,
Come figura luminosa passò accanto
di un biancore mortale, tra le alte case,
Silenziosa, fino a Camelot.
Giunsero sui moli
Cavalieri e Cittadini, Signori e Dame,
E sopra la prua lessero il suo nome,
La signora di Shalott.
Chi è costei? E cos'è questo?
E nel palazzo accanto illuminato
Morì il vociare allegro della Corte
E tutti si segnarono il petto per paura,
Tutti i cavalieri a Camelot;
Ma Lancillotto si fermò in silenzio e poi
Parlò "che incantevole viso" disse
Che Dio caritatevole le conceda il paradiso,
La signora di Shalott. "
On either side the river lie
Long fields of barley and of rye,
That clothe the wold and meet the sky;
And through the field the road run by
To many-tower’d Camelot;
And up and down the people go,
Gazing where the lilies blow
Round an island there below,
The island of Shalott.
Willows whiten, aspens quiver,
Little breezes dusk and shiver
Through the wave that runs for ever.
By the island in the river
Flowing down to Camelot.
Four grey walls, and four grey towers,
Overlook a space of flowers,
And the silent isle imbowers
The Lady of Shalott.
By the margin, willow veil’d,
Slide the heavy barges trail’d
By slow horses; and unhail’d
The shallop flitteth silken-sail’d
Skimming down to Camelot:
But who hath seen her wave her hand?
Or at the casement seen her stand?
Or is she known in all the land,
The Lady of Shalott?
Only reapers, reaping early,
In among the bearded barley
Hear a song that echoes cheerly
From the river winding clearly;
Down to tower’d Camelot;
And by the moon the reaper weary,
Piling sheaves in uplands airy,
Listening, whispers, "Tis the fairy
The Lady of Shalott.”
PART II
There she weaves by night and day
A magic web with colours gay.
She has heard a whisper say,
A curse is on her if she stay
To look down to Camelot.
She knows not what the curse may be,
And so she weaveth steadily,
And little other care hath she,
The Lady of Shalott.
And moving through a mirror clear
That hangs before her all the year,
Shadows of the world appear.
here she sees the highway near
Winding down to Camelot;
There the river eddy whirls,
And there the surly village churls,
And the red cloaks of market girls
Pass onward from Shalott.
Sometimes a troop of damsels glad,
An abbot on an ambling pad,
Sometimes a curly shepherd lad,
Or long-hair’d page in crimson clad
Goes by to tower’d Camelot;
And sometimes through the mirror blue
The knights come riding two and two.
She hath no loyal Knight and true,
The Lady of Shalott.
But in her web she still delights
To weave the mirror’s magic sights,
For often through the silent nights
A funeral, with plumes and lights
And music, went to Camelot;
Or when the Moon was overhead,
Came two young lovers lately wed.
“I am half sick of shadows,” said
The Lady of Shalott.
PART III
A bow-shot from her bower-eaves,
He rode between the barley sheaves,
The sun came dazzling thro’ the leaves,
And flamed upon the brazen greaves
Of bold Sir Lancelot.
A red-cross knight for ever kneel’d
To a lady in his shield,
That sparkled on the yellow field,
Beside remote Shalott.
The gemmy bridle glitter’d free,
Like to some branch of stars we see
Hung in the golden Galaxy.
The bridle bells rang merrily
As he rode down to Camelot:
And from his blazon’d baldric slung
A mighty silver bugle hung,
And as he rode his armor rung
Beside remote Shalott.
All in the blue unclouded weather
Thick-jewell’d shone the saddle-leather,
The helmet and the helmet-feather
Burn’d like one burning flame together,
As he rode down to Camelot.
s often thro’ the purple night,
Below the starry clusters bright,
Some bearded meteor, burning bright,
Moves over still Shalott.
His broad clear brow in sunlight glow’d;
On burnish’d hooves his war-horse trode;
From underneath his helmet flow’d
His coal-black curls as on he rode,
As he rode down to Camelot.
From the bank and from the river
He flashed into the crystal mirror,
Tirra lirra,” by the river
Sang Sir Lancelot.
She left the web, she left the loom,
She made three paces through the room,
She saw the water-lily bloom,
She saw the helmet and the plume,
She look’d down to Camelot.
Out flew the web and floated wide;
The mirror crack’d from side to side;
“The curse is come upon me,” cried
The Lady of Shalott.
In the stormy east-wind straining,
The pale yellow woods were waning,
The broad stream in his banks complaining.
Heavily the low sky raining
Over tower’d Camelot;
Down she came and found a boat
Beneath a willow left afloat,
And around about the prow she wrote
The Lady of Shalott.
And down the river’s dim expanse
Like some bold seer in a trance,
Seeing all his own mischance —
With a glassy countenance
Did she look to Camelot.
And at the closing of the day
She loosed the chain, and down she lay;
The broad stream bore her far away,
The Lady of Shalott.
Lying, robed in snowy white
That loosely flew to left and right —
The leaves upon her falling light —
Thro’ the noises of the night,
She floated down to Camelot:
And as the boat-head wound along
The willowy hills and fields among,
They heard her singing her last song,
The Lady of Shalott.
Heard a carol, mournful, holy,
Chanted loudly, chanted lowly,
Till her blood was frozen slowly,
And her eyes were darkened wholly,
Turn’d to tower’d Camelot.
For ere she reach’d upon the tide
The first house by the water-side,
Singing in her song she died,
The Lady of Shalott.
Under tower and balcony,
By garden-wall and gallery,
A gleaming shape she floated by,
Dead-pale between the houses high,
Silent into Camelot.
Out upon the wharfs they came,
Knight and Burgher, Lord and Dame,
And around the prow they read her name,
The Lady of Shalott.
Who is this? And what is here?
And in the lighted palace near
Died the sound of royal cheer;
And they crossed themselves for fear,
All the Knights at Camelot;
But Lancelot mused a little space
He said, “She has a lovely face;
God in his mercy lend her grace,
The Lady of Shalott.”

(1 ) The Source of Tennyson’s the Lady of Shalott , L. S. Potwin, Modern Language Notes Vol. 17, No. 8 (Dec., 1902)
(2) The story of Elaine, the lily maid of Astolat : from the Arthurian legends Publisher E. Moxon, London