
Luce improvvisa. E’ luce diretta che stordisce, un lampo di un’immagine che acceca gli occhi della mente e ci confonde, un ricordo di qualcosa che siamo certi sia già avvenuto. Ma siamo bendati, lo sappiamo. Non riusciamo a rintracciare il ricordo che l’evento o la persona che abbiamo di fronte ci suscita.
Mentre cerchiamo indietro, nel respiro di un istante affannoso, dilatato, nei ripostigli dei ricordi senza trovare niente, siamo trafitti da qualcosa che sappiamo certa, che risale dal gorgo degli anni e dalla moltitudine degli istanti, che appare chiara, luminosa, definita, ma a cui non sappiamo dare un contesto nè un’origine. Questa vertigine, questo smarrimento a cui la letteratura ha dato nomi diversi è per i neurologi un “misfiring”, un piccolo “overload”, un sovraccarico improvviso di impulsi elettrici proveniente da un gruppo di neuroni nella corteccia temporale che trasmette alla coscienza la falsa sensazione di aver già vissuto o visto qualcosa. Il deja-vu possiede un fratello nell’ombra, il “jamais vu”, (mai vissuto) sperimentato a volte nell’epilessia, più raramente nell’esperienza comune e che ci conduce a credere che l’attimo che si sta vivendo sta accadendo per la prima volta, a dispetto dell’evidenza razionale che l’avvenimento è un fatto che appartiene al quotidiano e che viviamo abitualmente ogni giorno.
Quando il famigliare è talmente cupo e stravolto da diventare una copia irriconoscibile del conosciuto, quando macera di nascosto dentro il veleno dei giorni, rivelandosi guasto all’improvviso, allora ciò che prima era riconoscibile, addomesticato, carico di valenze affettive, si svuota all’istante per essere caricato di estraneità, per vestirsi di luce sinistra e malevola. Il Jamas-vu si accosta all’ora all’ Unheimlich freudiano, all’inquietante non famigliarità di un luogo, disin-vestito di proiezioni buone e “casalinghe”, spogliato della rassicurante pellicola del quotidiano.
Ma è il deja vu, a suscitare più fascino. Appartiene alla nostra memoria più del jamas-vu, molto più raro.
A volte ci chiediamo se quel momento vacillante in cui tutto si perde, dove si esaurisce la parabola del giorno e che attrae su di sè ogni istante, dove ogni spiegazione e ogni raziocinio frana, dove persino la concezione del tempo è sospesa, pericolosamente rinviata fino alla soglia di una lucida follia sia un messaggero dal passato o un lampo che ci investe dal futuro. Diamo ascolto a ciò che in noi sragiona, non ci sono appigli, procediamo in questa vertigine di non-senso: il deja-vu è’ un messaggio cifrato, un enigma che depone l’universo ai nostri piedi, che sdoppia la coscienza del qui e ora e proietta un’ombra nel passato e un’altra nel futuro.Il deja vu appartiene alle “correnti del tempo” (G.B. Rossetti) che vengono in aiuto del fermo, irrigidito presente dove niente può essere cambiato. E’ l’espressione di forze al di là dell’umano che d’improvviso baciano l’uomo in fronte, come la fortuna: questo bacio è uno squarcio nel tempo, un cielo che si apre e liquefa il presente; i sensi si rinnovano allora, si affrancano dall’io, appesantito dalla sua storia, dalle sue esperienze passate, condannato dal suo stesso peso e dalla sua stessa polvere ad essere infelice, a filtrare la realtà stantia come uno che invecchia, che perde slancio e speranza. Ma ecco le correnti del deja vu, che fanno intravedere una dimensione altra, che scorticano la corteccia degli anni, ritrovano il nostro nocciolo pulsante, ancora vivo, nuovo, giovane un’altra volta. Per Dante Gabriel Rossetti il deja vu (Sudden Light) non è solo un’illuminazione, è la certezza che esistano forze al di là di noi, e dentro di noi, là dove non guardiamo mai, che siano in grado di imprimere una spinta formidabile alla luce vera, ancora viva, che giace sul fondo e che questa luce che a mala pena sa’ di esistere venga liberata in un battito d’ali come quelle del passero nella poesia “Sudden Light”.


Sono già stato qui
Ma quando o come non saprei dire
Conosco l’erba al di là della porta
Il dolce odore pungente
Un suono come un singhiozzo, le luci attorno alla baia.
Sei stata mia prima, –
Quanto tempo fa non saprei dire
Ma proprio quando al volo del passero
il tuo collo si è girato in quel modo
Un velo è caduto – e seppi tutto di te
E’ stato così anche prima?
E non fa così anche il tempo con il suo turbinio incessante
Che ancora una volta d’amore colma le nostre vite
A dispetto della morte,
E giorno e notte istilla una delizia ancora?
SUDDEN LIGHT
I’VE BEEN HERE HERE BEFORE,
BUT WHEN OR HOW I CANNOT TELL:
I KNOW THE GRASS BEYOND THE DOOR,
THE SWEET KEEN SMELL,
THE SIGHING SOUND, THE LIGHTS AROUND THE SHORE.
YOU HAVE BEEN MINE BEFORE,—
HOW LONG AGO I MAY NOT KNOW:
BUT JUST WHEN AT THAT SWALLOW’S SOAR
YOUR NECK TURNED SO,
SOME VEIL DID FALL,—I KNEW IT ALL OF YORE.
HAS THIS BEEN THUS BEFORE?
AND SHALL NOT THUS TIME’S EDDYING FLIGHT
STILL WITH OUR LIVES OUR LOVE RESTORE
IN DEATH’S DESPITE,
AND DAY AND NIGHT YIELD ONE DELIGHT ONCE MORE?