
I genitori, presi da vergogna, per non mandarlo né alle cene a quota
né ai conviti, trovavano pretesti d’ogni specie.
Gli Ormenidi alle gare di Atena Itonia vennero a invitarlo.
Li respinse la madre: Non è in casa, ieri appunto è partito per Crannone per riscuotere i cento buoi d’un credito.
Polissò venne, madre di Attorione, che preparava al giovane le nozze ad invitare entrambi, Triopa e il figlio,
e la donna rispose a malincuore tra le lagrime: Triopa verrà certo, ma Erisíttone, colto da un cinghiale, sul monte Pindo dalle belle valli,
da nove giorni è a letto. Cosa mai non inventasti per amor del figlio povera madre?
Offriva uno un banchetto: Erisíttone è fuori di città.
Uno la sposa conduceva a nozze: Fu colpito Erisíttone da un disco,
o Dal carro è caduto, o Sta a contare sopra l’Otris i greggi.
E tutto il giorno quello a mensa, nel fondo della casa, mangiava all’infinito.
E più mangiava più il ventre gli balzava orribilmente.
Si versavano tutte le vivande inutilmente, senza alcun piacere, come nella voragine del mare
ed egli, come neve sul Mimante, come al sole una bambola di cera, e di più, si struggeva.
Sventurato, finché fu pelle e ossa sopra i nervi.
Era in pianto la madre, tristemente le due sorelle, chi lo tenne al seno
e molte volte anche le dieci serve mandavano lamenti
e Triopa stesso, si portava le mani al bianco capo,
invocando in tal modo Poseidoneche non l’udiva: Falso genitore,nacqui da te e da Canace di Eolo,
nacqui da te e da Canace di Eolo, ecco qui tuo nipote, se davvero
e da me questo povero fanciullo fu generato. Almeno le mie mani
l’avessero sepolto, fatto segno della mira di Apollo. Ora mi siede
dinanzi agli occhi una malvagia fame: o gli allontani questo orrendo male
o prendilo e nutriscilo tu stesso. Le mie mense non hanno più risorse,
son deserti i recinti e sono vuote le stalle dei quadrupedi.
Più nulla mandano indietro i cuochi, pure i muli staccarono di sotto i grandi carri
ed egli divorò pure la mucca, allevata per Estia dalla madre,
e il cavallo campione nelle gare e il cavallo da guerra e coda bianca,
il terrore dei piccoli animali. Fino a quando restavano ricchezze
nella casa di Triopa, del malanno solo le stanze interne erano a parte,
ma quando pure il fondo della casa prosciugarono i denti, nei crocicchi
stette il figlio del re, seduto, a chiedere avanzi e rimasugli delle mense.
Demetra, non mi possa essere amico né stare al muro accanto chi ti è in odio:
è cattivo vicino un tuo nemico….Vergini e madri, dite:
Salve Demetra, molte volte salve, generosa di cibo, ricca a staia.
E come sono quattro le cavalle di chioma bianca che il canestro tírano,
così la grande dea; molto potente, verrà portando bianca primavera
e bianca estate e inoltre inverno e autunno e ci proteggerà da un anno all’altro.
E come scalzi e senza bende in capo camminiamo in città
così per sempre avremo in tutto illesi piedi e capo.
E come pieni d’oro i cesti portano le portatrici, così avremo l’oro
in abbondanza. Le non iniziate non oltre il Pritanèo della città,
le addette al rito seguano la dea, se non hanno compiuto i sessanta anni,
fino alla fine. Ma per chi è pesante, per chi le mani verso Ilitia tende,
per chi ha le doglie, per costoro basta finché non hanno peso le ginocchia.
Darà loro Deò tutte le cose in abbondanza
e di poter venire fino al suo tempio.
Salve, dea, conserva questa città in concordia e in opulenza.
Porta tutti i prodotti della terra, ai buoi da’ nutrimento, porta i frutti,
porta la spiga, da’ la mietitura, anche la pace nutri, perché mieta,
colui che arò. Propizia a me dimòstrati
tre volte nelle suppliche invocata,grandemente potente tra le dèe.